Papà Mario Vidulich (Oparic) di 84 anni si è spento serenamente
in ospedale (alle ore 2.30 del 30 Luglio 2006) dopo una breve malattia che
lo ha portato a rallentare sempre di più la sua forza vitale di cui ne
era padrone fino agli ultimi mesi.
Oltre ad
essere marito, padre e nonno esemplare, dedicò la sua vita alla famiglia
ed al lavoro.
Lo ricordiamo tutti con affetto, la moglie Marucci, io Gabriele e mio
fratello Vincenzo, le nuore Daniela e Fiorella e i nipoti.
Gesù disse:
"Io sono la risurrezione e la vita. Chi esercita fede in me, benché
muoia, tornerà in vita" (vangelo di Giovanni
capitolo 11, versetto
25).
Ciao papà non vediamo l'ora di riabbracciarti nella risurrezione… CIAO
Mario,
nato il 06/05/1922 a Lussinpiccolo, a 23 anni a causa della guerra, entrò
nella "Marina Militare Italiana" per combattere i
"nemici".
Mario Vidulich
La
sua condizione militare è stata abbastanza singolare: incominciò e
concluse la guerra sempre presso lo stesso comando della Marina solo
che, all'inizio ha combattuto contro gli Inglesi, Francesi ed
Americani e, alla fine, si è trovato alleato degli ex nemici.
Dopo
l'armistizio del '49 ha corso il rischio di essere fatto fuori dai
Tedeschi. Il suo pensiero durante la guerra era quello di ritornare
nella sua isola di Lussino di cui aveva tanta nostalgia.
Dopo
tante peripezie riuscì a ritornare vivo a casa sua, trovando una
Lussino cambiata radicalmente dalla sua anima Istro-Veneta.
Le case che provvisoriamente erano vuote o nazionalizzate vennero
riempite rapidamente dai nuovi venuti della Repubblica Federazione e
dei paesi contermini. La lingua dominante divenne il Croato e le
istituzioni Italiane cominciarono a languire fino alla loro
scomparsa.
Molti
lussignani vollero lasciare il paese ma furono costretti a rimanere loro
malgrado.
Tutto era precario e difficile: Sembrava che la guerra non fosse affatto
conclusa, ma anzi continuasse in maniera ancora più micidiale.
Dopo la
morte di sua madre nel 1957 l'ultima ragione di rimanere a Lussino
venne meno con la famiglia che si era formato con 2 figli.
Non volendo che la sua famiglia vivesse in un mondo così opprimente
e senza prospettive d'una esistenza libera e serena, prese la
decisione, compiendo un passo doloroso, di staccarsi da tutto ciò
che faceva parte di se stesso.
Con una passera di quattro metri, la sua famiglia Vidulich
attraversò l'adriatico verso l'Italia...
Questa è
l'avventura da lui stesso raccontata:
"E’ notte, siamo in Valle Scura. In una
passera di quattro metri da me
personalmente costruita, con un motore rabberciato alla meglio, una
bussola, realizzata con la cassa di una sveglia, e due remi, ci
imbarchiamo in sette persone: io, mia moglie, i miei figli, una signora di
cinquant'anni, suo figlio ed un amico. Siamo stipati come sardine, senza
protezione alcuna. Non abbiamo neppure un'incirada (una tela cerata) che
ci protegga dalla pioggia fredda e sottile che sta cadendo da due giorni.
Il buio è totale; nel silenzio rotto solo dal tonfo misurato dei remi,
mentre quasi tratteniamo il fiato, fuori per le strette di San Pietro e
Cornù (l'estrema punta di LUSSINO) ci portiamo al largo. Quando riteniamo
che nessuna motovedetta jugoslava possa ormai intercettarci, accendiamo il
motore.
E’ un
momento emozionante, carico di sospensione ansiosa. Tiro con forza la
cordicella dell'avviamento e subito, allegramente, il motore ci risponde
con il suo borbottio pieno di vigore.
- Evviva, siamo davvero in viaggio!
Puntiamo verso Ancona, dopo aver messo a punto la prodigiosa bussola che,
malgrado tutto, si dimostrerà tecnicamente perfetta. Soli, in mezzo
all'Adriatico, mentre un freddo maestrale investe i nostri corpi
intirizziti ed il mare comincia ad agitarsi sempre più violento, sentiamo
di essere nelle mani di Dio; abbiamo la consapevolezza che la nostra
salvezza è affidata a Lui e a quel motore che potrebbe spegnersi da un
momento all'altro.
Ed infatti un'ondata più violenta delle altre avvolge
la nostra imbarcazione e investe il motore, che, per qualche secondo,
comincia a tossire, a bofonchiare, a rallentare la sua corsa fino al punto
che pare fermarsi. Miracolosamente, il borbottio amico si fa risentire
rassicurante e, con impegno, pensiamo adesso, con recipienti vari, a
svuotare la passera dall'acqua che abbiamo "imbarcato". I movimenti cui siamo costretti attenuano un poco il freddo che attanaglia
le nostre membra.
Siamo al culmine della paura.
I bambini piangono. la
signora cinquantenne, senza ritegno alcuno. maledice il momento in cui ha
deciso di imbarcarsi per quell'azzardato viaggio. lo, capitano
improvvisato, cerco di rincuorare i passeggeri, ma l'impresa mi risulta
difficile. Le onde sono sempre minacciose, il soffio del maestrale è
gelido (siamo in gennaio). Cerco de bordegiar, cioè di andare a zig zag
contro il vento e le onde e, intanto, imbarchiamo altra acqua che
velocemente eliminiamo, con le gambe immerse talora fino alle ginocchia.
Le ore trascorrono così, in una tensione continua, attenuata dall'impegno
di tutti noi nel raccogliere e gettar fuori dalla barca l'acqua che le
onde impietosamente ci scagliano addosso. Ormai l'approdo non dovrebbe
essere lontano, purché il motore continui prodigiosamente a fare il suo
dovere. Un lieve chiarore, una lama sottile di luce. comincia a delinearsi
di fronte a noi, dilatandosi e accendendosi fino a consentirci di scorgere
in lontananza il Promontorio del Conero e gli edifici più alti di ANCONA.
Un grido di gioia, una preghiera di ringraziamento si levano dalla nostra
piccola caravella, che ora sta entrando nel porto marchigiano. Una folla
di cinquecento persone (avvertite da chi?) si è raccolta sul molo e
saluta con un applauso il nostro attracco dopo la pericolosa traversata. 1
funzionari portuali che ci accolgono e ci sottopongono agli interrogatori
di rito, si congratulano con noi per il coraggio e la perizia dimostrate
in quella impresa: -Signor
Mario - mi dice il capitano di porto
- non si monti la testa, ma lei ha
compiuto un'impresa degna di Cristoforo Colombo.
Io, da parte mia, mi sento un semplice, piccolo uomo, che, con un poco di
esperienza di mare e con molto sostegno della provvidenza, è riuscito a
trovare la sua libertà."
Quando gli alunni insegnavano al loro maestro
Racconto
di Mario Vidulich
Avevo
circa nove anni e mi trovavo a “Valdarche” a
Lussinpiccolo con mio fratello Bruno di undici anni. Eravamo saliti
su una piccola “batela“,
mentre il maestro PATUZZI, nostro insegnante elementare, ci
guardava, per caso, dal molo.
Noi bordeggiavamo nella valle di Valdarche, spinti da un discreto
vento che soffiava verso terra.
A un certo punto vedemmo il maestro Patuzzi che, facendoci segno di
accostare, ci chiese di
poter fare una bordeggiata con la nostra “patana”.
Subito, con fare da marineri, virammo contro vento
e in un attimo ci accostammo al molo dove il maestro ci aspettava. Noi,
dal molo, davamo lezioni di vela al nostro maestro: “viri”, “poggi”,
“laschi la vela”... ma il maestro non capiva i termini, e noi
dovemmo cominciare a dire i comandi in altro modo: “giri a
sinistra”, giri a destra”,
“vadi contro vento”.
Il
Patuzzi non riusciva a fare giuste manovre, la barchetta
girava in qua e in là per la valle, come se fosse in una
scena dei film di Ridolini. Molta “mularia” si era
raggruppata sulle “grotte” bianche e rideva della
situazione, ma in disparte, perché a quei tempi c’era molto
rispetto per i maestri e per
le persone adulte in generale.
Quando decise
di tornare a terra, puntò verso di noi che lo aspettavamo a
riva. Aveva il vento in poppa e puntò verso il moletto... non
virò contro vento per fermare la “patana”, e
se noi, due ragazzini, non fossimo intervenuti afferrando la
barchetta per le “sartighe”,
il maestro sarebbe finito dritto sugli scogli, dato che aveva
il vento in poppa... gridammo che aveva sbagliato manovra…
soprattutto Bruno che si era molto preoccupato per
la sorte della sua barchetta.
Il maestro
capì che aveva corso un brutto rischio, ci avrebbe perlomeno
rovinato la batela, e chiese che cosa avrebbe dovuto fare.
Così
Bruno ed io gli spiegammo che, per fermare la “patana”,
avrebbe dovuto virare controvento, accostandosi al molo.
Comunque il maestro ci chiese: “A parte questo errore, sono
andato bene per tutto il resto?” E
noi imbarazzati: “Oh sì… signor maestro!”
Così fu che
due ragazzini “insegnarono al loro maestro”.
Un salvataggio
eroico a Lussinpiccolo raccontato
da Mario
Guardando la
televisione vengo a conoscenza di molti ragazzi che fanno gesti
eroici.
Questi episodi mi hanno riportato indietro nel tempo, al periodo
della mia gioventù, quando, insieme a mio fratello Bruno a
Lussinpiccolo frequentavo le elementari.
In quel periodo Bruno ha fatto un gesto molto eroico. Avrà avuto 9
o 10 anni ( io ne avevo due di meno).
A quel tempo molti bambini di Lussino erano bravi nuotatori, ma
Bruno ci superava tutti.
Soltanto un nostro
amico Barban Bruno, non sapeva nuotare , perché mai nessuno glielo
aveva insegnato. (Aveva l'età di mio fratello) . Io e Bruno,
durante le vacanze estive, approfittavamo di ogni momento per far
segnoride in mar (tuffi in testata in mare).
Nostro padre
lavorava a Prico, faceva il muratore in quella casa che si
trova in quella salita fatta con le pierecotte .
Per tutte le vacanze noi gli portavamo il pranzo da casa e
subito dopo correvamo al moletto a far segnoride e gnorit (
nuotare sotto acqua).
Il nostro amico Barban, vedendo i nostri tuffi, volle
emularci, e si tuffò a sua volta dal moletto, pur non sapendo
nuotare.
Noi lo vedemmo rimanere sotto
mar per un po', annaspava con le mani volendo risalire,
riusciva a venire brevemente a galla, ma poi subito
ridiscendeva.
Stava annegando!
Mio fratello Bruno, capito
che il Barban stava annegando, subito si tuffò e nuotando
sott'acqua si infilò fra le gambe dell'amico in difficoltà
e, sempre nuotando sotto acqua portò il Barban per 20/25
metri fino alla spiaggia.
L'amico era salvo!
Tossiva, perché aveva bevuto molto mare, ma era in salvo
sull'asciutto.
Mario e Bruno con mamma e papà
Mio fratello Bruno,
comunque, dopo quell'impresa, era sfinito, tossiva anche lui, per
tutto il mare che aveva bevuto nel salvataggio.
Questo episodio, noi non lo abbiamo mai raccontato ai nostri
genitori, perché non avrebbero più permesso al nostro amico di
avvicinarsi al mare.
Però gli abbiamo subito insegnato a nuotare! Mio fratello lo
sosteneva a galla con le mani sotto il petto ed io lo sollevavo
sotto i piedi, finchè anche lui seppe nuotare .
Noi non abbiamo mai raccontato a nessuno questo fatto, perché ci
sembrava insignificante, ma ora che ci penso Bruno ebbe un coraggio
e prontezza di spirito non comuni in un ragazzo di neanche dieci
anni.
...
Gioisce di felicità il mio cuore
quando il pensiero corre verso
l'eterna speranza...
...Cerco
nell'immensità il
PADRE SUPREMO, un
piccolo segno!...
"....Mi misi a scrivere
ciò che mi turbinava nel
cervello...
Voglio sperare che il PADRE
Supremo mi perdonerà la mia
malafede.
I miei pensieri sono questi.
Gioisce di felicità il mio
cuore quando il pensiero corre
verso l'eterna speranza...
Ma poi, la tristezza si
insinua in lui perchè il mio
essere ricadde nella dubbia
fede...
e vedo il nulla!
Allora
pecco d'invidia verso tutti coloro che
la fede hanno salda.
Cerco nell'immensità il PADRE
SUPREMO, un piccolo segno!
E nel mio vacillante "credo",
dal profondo del cuore, rivolgo a Lui
una preghiera di perdono."